CHICCO

Fu di mattina, ricordo; una fredda mattina invernale.
La brinata notturna aveva inesorabilmente incanutito ogni singolo filo d’erba del giardino.
La condensa del mio alito in lontananza poteva essere interpretata come fumo di sigaretta che intermittentemente a intervalli regolari scandiva i tempi del mio respiro lento, come lenti erano i passi che in mezzo al gruppo dei miei cani da pastore mi facevano procedere nella passeggiata all’albeggio.
I Collies, non curanti del freddo pungente proseguivano a rincorrersi tra loro offrendomi di tanto in tanto una loro attenzione che a seconda del soggetto poteva variare da una leggera sfregata ad una più energica spallata contro una delle mie intirizzite gambe.
In tutto quel turbinio di vita mantenevo comunque la sensazione che qualcuno mi osservasse, era come se percepissi una presenza ulteriore a quella dei miei compagni; non una presenza qualunque ma come se ci fosse “ qualcuno per me”…
Fatico a spiegare fluidamente ciò che era in quel momento solo un’ipotesi di percezione ma tutt’ora sento ricordandola la medesima emozione.
Un frullo d’ali mi colse di sorpresa e mi fece quasi sussultare tanto che mi sembrò un rumore amplificato rispetto quanto in realtà non fosse.
Voltai lo sguardo e incrociai quello della creaturina che aveva emesso il rumore.
Due minuti occhi neri mi stavano scrutando da un ramo di una magnolia posto da terra ad una altezza pari a quella del mio viso.
Un essere umano e un pettirosso si stavano reciprocamente esaminando.
Il piccolo volatile che non mostrava alcun accenno di paura si lasciò avvicinare a meno di due metri per poi saltellare ad una distanza maggiore ma senza segni di voler realmente fuggire da me.
Gli apostrofai qualche parola di cui non ricordo ora il senso e continuai a far giocare i cani mantenendo un contatto visivo col piccolo intruso che continuava a seguirmi a pochi passi.
Dopo alcuni minuti il pettirosso decise di proseguire per altre mete e con un caratteristico cinguettio si allontanò.
Per quel giorno mi dimenticai del visitatore fintanto che la mattina successiva tornò.
Cosa potesse attirare l’attenzione dell’uccellino, francamente lo ignoravo ma non potevo fare finta di non notare il suo coraggio, non curante del possibile pericolo continuava a seguire sia me che i cani distando da noi meno di un balzo di uno dei miei Collies.
La terza mattina provai ad attirare il pettirosso più vicino a me posando a terra un pezzettino di prosciutto che di solito uso come incentivo per i cani quando eseguono un ordine che gli impartisco.
Rimasi immobile col pezzettino di carne a pochi centimetri da me.
Dopo una breve valutazione dell’ offerta prima con l’occhio destro e poi con quello sinistro, il pettirosso si gettò sul prosciutto afferrandolo col becco per poi trangugiarlo come se si trattasse di un insetto.
L’ esperimento mi divertì e mi ripromisi che ogni mattina avrei serbato per “Chicco” (in questo modo mi piaceva chiamarlo) un bocconcino.
L’intelligente animaletto non tardò molto ad associare la mia presenza al pasto e così per alcuni giorni la cosa si ripeté.
Dopo circa un mese di appuntamenti, mi venne il desiderio di provare l’improbabile; una mattina che il pettirosso tardava a presentarsi chiamai l’uccellino urlando il suo nome e dopo il terzo vano tentativo come per magia, forse o semplicemente per fortuna Chicco si materializzò e ottenne il suo premio.
A volte la mia mente si perde un po’ nella fantasia e per darmi una spiegazione del perché della presenza del pettirosso immaginai che fosse in quel momento una sorta di “mio spirito guida” una creatura mandata da un Qualcuno che sapendo che stavo attraversando un periodo di tribolazione affettiva aveva deciso di mandarmi un segno che mi facesse capire che non dovevo sentirmi solo come invece mi sembrava di essere.
Mi affezionai a Chicco e sovente durante le sue visite, che intanto si erano fatte più frequenti anche durante il giorno, mi ritrovavo a parlarci e spesso a commuovermi del fatto che lui fosse li con me.
Avvicinandosi la Primavera la frequentazione con Chicco era diventata una routine e una mattina tentai l’esperimento numero tre.
Se l’uccellino avesse voluto il suo pasto se lo sarebbe dovuto venire a prendere dalla mia mano.
Ero a circa tre o quattro metri da lui, il pettirosso come sempre mi osservava dal solito ramo della magnolia.
Il mio braccio teso non mascherava certamente il tremore dell’emozione per ciò che da li a poco sarebbe accaduto.
Con un battito di ali Chicco fu sul mio palmo, leggero tanto da riuscire a percepire solo la punta delle sue unghie, si soffermò un paio di secondi che equiparai a un paio di minuti e dopo aver scotomizzato con entrambi gli occhi il “premio” lo fece suo in un boccone.
Quasi urlai per la gioia.
Ci possono essere sicuramente diverse risposte etologiche in grado di spiegare la collaborazione tra animali di specie diverse atta a favorire un successo di sopravvivenza per entrambi o per l’una a scapito dell’altra; ma tali spiegazioni possono essere di poco valore rispetto a quella che mi ero dato io relativamente a ciò che stava accadendo tra me e il pettirosso da alcune settimane.
La mia risposta al perché tutto ciò potesse accadere risiedeva in un’ unico termine, assolutamente poco scientifico ma estremamente carico di emotività: AMICIZIA.
Un essere umano e un pettirosso non domestico possono essere amici, ci eravamo addomesticati a vicenda e così come spiega la Volpe al Piccolo Principe nell’omonimo romanzo, l’addomesticamento reciproco porta a percepire la mancanza dell’altrui presenza quando questa si verifica.
Così come ogni cosa bella ha il proprio termine anche la mia frequentazione con Chicco volse al suo fine; in un mattino di sole il piccolo pettirosso un po’ Dono del Signore e un po’ fatalità, venne a prendere per l’ultima volta il suo pezzettino di prosciutto.
In un freddo mattino Chicco comparve e in un caldo raggio di sole se ne andò per sempre.