…A Full indimenticabile e sempre presente amico

Durante il corso della mia vita mi sono imbattuto, poche ma significative volte, in momenti in cui il destino mio o di un’altra creatura l’abbia percepito come legato a quello di un altro essere vivente.
Quello che ora racconterò è testimonianza di uno di questi momenti e i protagonisti portano il nome di Full e Duncan.
Cercherò di testimoniare, con molta umiltà e dal basso della mia pochezza narrativa, come il soffio della vita lasciando il corpo terreno di una creatura al limite della sua esistenza, possa lentamente alimentare e infondere forza in una seconda che appena nata sta lottando per farsi posto in questo mondo.
Per fare questo devo però iniziare il racconto parlando del primo dei due protagonisti.

Full
Se mi venisse chiesto di descrivere metaforicamente con un unico concetto ciò che Full, il mio Collie, abbia rappresentato per me pronuncerei questo sostantivo “PRINCIPE”. In questo modo lo descrivevo quando parlavo di Lui ed è così che riesco a ricordarlo ogni giorno da quando mi è mancato, e al solo pensiero una lacrima mi appanna gli occhi.
Se fosse stato il protagonista di una antica favola, sarebbe stato un nobile signore imprigionato da un incantesimo nel corpo di un cane da pastore dal pelo sontuosamente lungo, fulvo, con un immenso collare di pelo bianco a contornare il più dignitoso degli sguardi.
Ciò che Full per me rappresenta è radicato nel profondo del mio cuore e difficilmente descrivibile.
Nel suo ricordo ogni mattina ripercorro, come in un ritorno di immagini passate, il suo saluto di “buon giorno” fatto di delicati ma ben assestati colpi di muso alla base del mio sedere per incitarmi a smuovermi dal torpore, e il suo appoggiarsi di peso con le spalle alla mie gambe trasmettendomi fisicamente la rasserenante sensazione di essere al mio fianco.
Sedici anni, per questo tempo, Full ha convissuto con la sua fierezza, era imponente tanto da incutere rispetto anche ai suoi pronipoti, baldanzosi giovani Collies, che al suo solo sguardo si appiattivano al suolo con reverente inchino a colui che era capo per carisma e mai per violenza.
Poco avvezzo ai comportamenti eccessivamente festosi, anche con gli esseri umani manteneva un certo distacco, riuscendo persino antipatico a quelli che per loro debolezza pretendono dai cani solo sottomissione.
Full mi ha sempre trattato come un membro del branco, accettando, non sempre di buon grado, le mie intrusioni nella sua temperata quiete; la spazzolata, il taglio delle unghie, la pulizie degli occhi, il veterinario, i miei baci con lo schiocco e tutto ciò che con sopportazione per l’ottanta per cento delle volte mi permetteva di “infliggergli” … il rimanete venti lo porto sottoforma di piccole cicatrici sulle braccia … a modo suo mi faceva capire che il limite era stato da me superato.

Duncan
Maggio 2005
Trafelato e con la sensazione di avere il cuore pulsante in gola per ciò che da li a pochi minuti sarebbe accaduto, a passo veloce e con in mano degli asciugamani puliti mi recavo in direzione del “box parto” in cui Bestie-White-Starlet, per tutti noi Stellina, stava portando a compimento i suoi due mesi di gestazione.
Era il secondo parto della mia Collie; il primo, due anni prima coronato dalla nascita di cinque splendidi cuccioli, che decisi di tenere per l’immenso affetto che mi lega alla loro madre, mi aveva portato a ben sperare anche per questa seconda avventura.
Così come il buon giorno si vede al sorgere del sole, un buon parto si presagisce da come il primo cucciolo si presenta “alla luce”, le sue condizioni fisiche sono un segno di ciò che avverrà.
Questa seconda volta la sorte non ci fu favorevole.
Al pensiero rabbrividisco ancora, dopo anni.
Le aspettative e l’ansia legate alle nascite mi provano sempre abbastanza, e comunque io sono sempre al fianco delle mie cagnoline nei momenti del parto, per confortarle ma anche, soprattutto le primipare, per aiutarle a velocizzare l’espulsione e la prima pulizia dei corpicini degli inermi neonati.
I primi due cuccioli furono espulsi non vivi, seguiti da altri piccoli poco reattivi, uno dei quali col cordoncino ombelicale attorcigliato attorno al collo.
L’unica cosa positiva erano le condizioni di Stellina, ignara dell’accaduto stava fisicamente bene, seppur provata dalle contrazioni.
Ad aggiungersi al peggio, per improrogabili impegni di lavoro, dovetti assentarmi lasciando a mio Padre il triste compito di seguire le sorti della cucciolata.
Ricordo le ore di quel pomeriggio, inesorabilmente lunghe, attaccato al telefono non mi davo pace e mai mi sono perdonato il fatto di non essere rimasto mandando alla malora “il dovere”, ma è con quell’indispensabile lavoro che posso mantenere i miei cani. Alle 19.30 potei finalmente rincasare, chiamai casa dall’auto, ascoltando la conferma dell’esito del parto: “ due cuccioli morti, quattro vivi…”fu la risposta di mio padre seguita da una pausa di sospensione e un mesto “ ci vediamo a casa…”, nella voce non c’era la minima gioia ma stanchezza e molta amarezza.
Mi affrettai; alle 20.00 ero accanto a Stellina con i quattro che letteralmente “pigolavano” rifiutando di stare attaccati ai capezzoli, nessun cenno di montata lattea, è vero, le prime ore sono sempre di assestamento ma in me si stava facendo strada un presentimento infausto.
Ad un tratto Stellina mi allungò una zampa, toccandomi sulla mano con la quale la stavo accarezzando, iniziando a girare nervosamente su se stessa, capii che il parto era solo sospeso, le contrazioni apparvero nuovamente.
Fu come se la mia cagna avesse aspettato il mio arrivo per concedermi l’onore di potere assistere alla nascita della sua ultima creaturina.
E per me fu un immenso regalo.
Il piccolo nacque correttamente, di testa, avvolto dalla sua placenta che prontamente ruppi in prossimità del musino per favorire alla madre il leccamento del muco che se lasciato avrebbe potuto otturare le vie respiratorie del cucciolo che con la prima boccata d’aria reagisce alla vita.
Più di sette ore erano trascorse dalla nascita del primo cagnolino; la lingua di Stellina frizionava energicamente il corpo del piccolo Collie dal manto nero con il collare candido, la fotocopia di suo padre, un maschio.
In pochi minuti era al capezzolo della madre e quasi scordandomi dei fratellini decisi di dargli il nome di Duncan, unico dei cinque a cui fu attribuito immediatamente il nome. “Vivi piccolo guerriero” fu la prima frase che gli sussurrai… mentre gli altri quattro sembravano in balia di un sinistro torpore.
La scena era quasi surreale, normalità accanto ad un dramma che inesorabilmente nelle ore successive avrebbe trovato il proprio epilogo; un torpore che di li a pochi giorni avrebbe portato morte, lasciando Duncan unico superstite.
Il neonato però continuava a restare aggrappato con tutte le sua forze alla vita, con commuovente determinazione, giorno dopo giorno, impartendomi lezioni di coraggio mentre lo sconforto mi devastava il cuore.
Un vecchio proverbio popolare narra che “..il diavolo fa le pentole ma non i coperchi”, ma quello che accadde smentì anche il proverbio.
Stellina smise di produrre latte, a nulla valsero gli interventi veterinari, la montata lattea non si verificò e la paura ora, era che il piccolo Duncan non potesse venire adeguatamente nutrito.
Fu grazie all’intervento di una persona a me molto cara, una amica che conobbi anni fa ad una esposizione canina, che riuscimmo a trovare una balia per il piccolo.
Una mamma provvisoria che potesse per alcuni giorni, col proprio latte, trasmettere un po’ di anticorpi al fisico così apparentemente fragile del Collie.
Verdena, questo era il nome della Springer Spaniel che per una settimana accettò Duncan tra i suoi cuccioli, con immensa dolcezza accolse il piccolo intruso, così diverso per dimensione e per morfologia dai suoi più cresciuti e meno pelosi “bambini”. Con delicatezza lo accolse leccandolo e il neonato si adattò alla nuova situazione alimentandosi da Verdena quando i “fratelli” dormivano, lasciandosi cadere tra le braccia di Morfeo qualora loro avidamente poppassero.
In questo modo la competizione alimentare veniva evitata.
Al decimo giorno di vita, Duncan apri gli occhi e fu da quel momento che mio Padre, con determinazione, decise di provvedere lui stesso ad allattarlo artificialmente.
Ciò portò Duncan ad aumentare notevolmente il proprio peso corporeo e con esso anche l’appetito.
Per due mesi in ogni angolo della casa si potevano trovare tettarelle e biberon perché il “piccolo guerriero” ogni tre – quattro ore richiedeva la sua razione di latte vitaminizzato.
Non trattengo nemmeno ora il sorriso e la commozione al pensiero del mio batuffolo aggirarsi con passo insicuro per casa scortato e protetto dalle nostre Bassotte, portato in visita alla sua “vera” mamma che poteva limitarsi solo a coccolarlo con delle leccate, presentato con la dovuta attenzione al branco dei suoi zii e cugini Collies trastullato e coccolato da noi umani sempre sotto osservazione dei suoi furbi e nerissimi occhi.
Era ormai scoppiato il caldo, eravamo alle porte di Luglio e Full iniziava a dare segni seri di stanchezza, passava molto più tempo all’ombra in cerca di refrigerio, sprofondando in sonni che spessissimo mi preoccupavano e mi portavano a ricercare nel mio cane il risveglio per il timore che di ben peggio si trattasse.
Per il forte legame che mi univa a Full, lo pensavo e lo immaginavo eterno, ma gli acciacchi dell’età avevano negli ultimi mesi consumato notevolmente nel fisico il mio amico.
Richiedeva il gioco ma si stancava immediatamente, le sua spallate mattutine lo portavano spesso a barcollare e a volte a dovere essere letteralmente sorretto.
Non scorderò mai il suo sguardo di quei momenti, mi fissava con le sue pupille ormai velate dal tempo come perso per lo stupore di non riuscire a mantenere l’equilibrio, ma poi si ridestava e con inimmaginabile (per chi non lo abbia veduto) dignità riprendeva il passo rassicurandomi con un pacato scodinzolio.
Tutto ciò era la prova che di eterno tra me e Full ci sarebbe rimasto esclusivamente l’amore.
Duncan entrava alla vita provenendo quasi miracolosamente da una morte sfiorata, mentre il destino al quale stava andando in contro il suo prozio era diametralmente opposto.
Lo sguardo di Full giorno dopo giorno si faceva sempre più lontano, ricordo con le lacrime agli occhi, che in questo momento mi impediscono di digitare con speditezza la tastiera del computer col quale scrivo , che l’ultima notte fu la nostra ultima notte.
La passammo abbracciati, la ricordo tiepida, ricordo che Full riuscì a dormire con sonni brevi ma tranquilli, sento ancora tattilmente la morbidezza del suo pelo che accarezzavo con cadenza continua, sento… sento che mi manca immensamente e spero di poterlo onorare degnamente con questo ricordo.

***

Full lasciò il suo corpo terreno con un profondo sospiro e mi auguro con l’immagine del mio volto nei suoi occhi a fargli compagnia durante il viaggio verso l’immensità, sul ponte che porta dalla terra al Paradiso.

***

Per generare un fiore, il seme deve morire, e mi piace immaginare che in Duncan si celi anche parte della vita del vecchio Collie.

***

Alcuni giorni fa avevo in mano una ciotola usata per somministrare cibo ai cani; senza accorgermi di avere tra le mani quella che per molti anni avevamo usato per Full, con la mente assorta in chissà quali pensieri, guardavo la mia immagine distorta riflettersi nell’acciaio.
Ad interrompere il mio sonno ad occhi aperti è la domanda di mio padre “…Cosa ci fai con la ciotola di Duncan? La stavo cercando…”, nel porgere il contenitore ho notato sul suo fondo il nome del precedente proprietario … Full.